Storia dell’arrampicata in Valle Orco, tratta dal libro ” Valle dell’Orco“, pubblicato da ” Versante Sud ” di Maurizio Oviglia, protagonista, fiorente apritore e uno dei massimi esperti della Valle Orco.
La Valle dell’Orco è una delle più importanti valli italiane e con una lunghezza di oltre quaranta chilometri, costituisce l’accesso all’intero versante meridionale del Gruppo del Gran Paradiso con una tendenza ovest-est, che è perpendicolare alla “Valle d’Aosta” del versante settentrionale del gruppo.
Questo è in realtà un fatto un po’ strano, che è stato spiegato con la maggiore forza erosiva del fiume Orco, che non si è adattato alla pendenza massima come i corsi d’acqua della Valle d’Aosta, ma ha invece influenzato profondamente lo gneiss sottostante creando così il tipico paesaggio della valle Orco, caratterizzata da bellissime gole rocciose, come quella prima del bacino del Ceresole. La Valle Orco è oggi giustamente rinomata per la sua bellezza: con le sue valli laterali è un vero microcosmo in cui il materiale dominante è sicuramente la roccia, questo famoso gneiss che sembra occupare ogni angolo della valle con placche, pareti, rocce speronate.
Questa caratteristica, comune all’adiacente ” Val Grande di Lanzo” , ha reso la Valle uno dei luoghi mitici dell’arrampicata su granito in Italia, come la ” Val di Mello” nelle Alpi Centrali. A rendere speciali le pareti della Valle dell’Orco, almeno per gli scalatori, è principalmente la “Gola di Balma Fiorant” , dove intorno agli inizi degli anni settanta iniziò l’esplorazione di una serie di pareti che fino ad allora erano passate inosservate.
La bellezza e la peculiarità di alcune di queste hanno fatto pensare ad un parallelo con la Yosemite Valley californiana , anche se su scala ridotta. Con l’ascesa delle prima vie sulla parete più suggestiva, chiamata Caporal, l’esplorazione proseguì poi a monte e a valle della gola.
Sopra Ceresole fu scalato il Sergent, mentre sopra Noasca e’ stata la volta della ” Torre di Aimonin”, e poi tutta una serie di strutture minori. Quest’isola di granito nel mezzo della valle finì per essere considerata dagli arrampicatori un microcosmo a sé, come se il resto della valle (e le montagne) non esistesse: “Valle Orco” è stata per anni e per gli scalatori solo il tratto che va dal paese di Rosone a quello di Ceresole. Con il passare del tempo, tuttavia, anche le montagne che dominano la valle, come il ” Mare Percia” , il ” Courmaon“, il “Monte Castello” , il ” Gran Carro “, hanno assunto la propria identità alpinistica. E un processo simile ha avuto luogo, a un esame più attento, anche nella ” Val di Mello” , dove nello stesso periodo ha avuto luogo l’esplorazione delle strutture di granito della bassa valle.
Quindi, in conclusione, possiamo dire che sono in presenza di una valle con una ricca storia alpinistica che oggi è diventata quasi un mito, almeno a leggere ciò che è stato tramandato dai cantori di quell’epoca definita come “Nuovo Mattino” , appunto identificabile nella prima metà degli anni Settanta. Una storia alpinistica che non è sempre stata regolare ma ha anche vissuto lunghi periodi di stasi. Ogni parete descritta costituisce un pezzo di questa storia, ma ovviamente la storia è stata fatta dall’uomo e gli scalatori che l’hanno scritta sono stati moltissimi, tanto che e’ stato difficile parlare di tutti senza dimenticare qualcuno. Se i più famosi hanno operato un po ‘su tutte le pareti, i più discreti si sono spesso legati alle pareti più piccole, eleggendole quasi nei loro giardini personali.
Ai tempi del ” Nuovo Mattino” la Valle dell’Orco non era che il giardino di pochi arrampicatori un poco rivoluzionari, un giardino segreto che se non fosse stato per la felice penna di ” Alessandro Gogna“, “Gian Piero Motti” e “Andrea Gobetti” , sarebbe forse rimasto poco conosciuto. Negli anni seguenti, nonostante l’alone di mito e leggenda che è sempre stato respirato intorno a queste rocce, la Valle è sempre rimasta un luogo estremamente provinciale, frequentato dalla gente del posto e da alcuni curiosi che venivano da lontano.
In tempi recenti le cose stanno cambiando e gli stranieri stanno diventando sempre più presenti sulle pareti del Sergent e del Caporal . Alcune famose fessure si sono guadagnate la copertina di riviste e l’onore delle cronache sul web, perché per scalarle sono venuti i migliori specialisti internazionali dell’arte. Forse è tempo che la valle dell’Orco venga sdoganata e sieda nel luogo che merita , tra i santuari dell’arrampicata europea . La sua storia è sicuramente affascinante e deve quindi essere tramandata e raccontata a coloro che vengono da lontano, ma queste mura non possono vivere sulle glorie del passato.
La Valle dell’Orco inizia dalla cittadina di Cuorgnè, posta ai piedi delle montagne. Seguendo la nuova superstrada in breve si raggiunge Pont Canavese, che viene facilmente evitato sulla sinistra. Tuttavia, per chi fosse interessato, nel centro del paese c’è la possibilità di arrampicare sulla falesia “urbana” di Rogge. Percorrendo invece la circonvallazione e guardando a sinistra, oltre il fiume, potrete scorgere una parete scura. E’ la falesia di Luca (Luca Basolo), una delle ultime pareti di arrampicata sportiva attrezzate e per lungo tempo rimasta frequentata da soli arrampicatori locali. Ripresa la strada originaria si lascia sulla destra anche Sparone (552 m) e la piccola Valle di Ribordone, che si apre sulla destra. Su questi assolati pendii è celata una delle falesie più frequentate della zona, Frachiamo, che si raggiunge per una stretta stradina asfaltata. Continuando nella valle principale ecco sulla destra la falesia di Bosco, forse la più conosciuta della zona per quanto riguarda l’arrampicata sportiva. Riparata dalla pioggia e relativamente calda in inverno risulta frequentatissima per buona parte dell’anno. Poco oltre si giunge al capoluogo della Valle, Locana (613 m), a km 12 da Pont.
La valle assume qui il suo caratteristico aspetto roccioso e incassato, e, poco oltre il paese, è possibile soffermarsi su una bella veduta del Vallone di Plantonetto e del Becco della Tribolazione. Si passano alcune frazioni di poche case e si raggiunge Rosone (715 m), inizio della Valle di Piantonetto, a 16,6 km da Pont. Seguendo la stretta strada per San Giacomo, è possibile raggiungere le rocce di Bugni all’inizio del Vallone di Piantonetto e in buona posizione panoramica sulla parte centrale della Valle. Oltre Rosone la valle piega leggermente a ovest, cambia carattere e si fa più incassata.
Sulla sinistra appaiono scure pareti tra cui, difficilmente è la struttura dello Zeppelin. Alla sua base, su un masso, c’è la la durissima fessura di Greenspit, considerata forse la più difficile d’Europa. Passata una galleria si raggiunge la frazione di Fornolosa (742 m) dove è possibile ammirare le pareti rocciose sul versante sinistro, molte delle quali praticamente inesplorate. Strette forre granitiche celano alte cascate, mentre più di 2000 metri di dislivello separano il fondovalle dallo spartiacque con la Val Grande. Si passano alcune piccole frazioni tra cui Gera, posta sotto una serie di risalti granitici, questa volta sulla destra della strada. Questa zona è una delle ultime frontiere dell’esplorazione in valle ed è fino a oggi rimasta piuttosto sconosciuta e nota col nome generico di Bambanero.
Sullo sfondo è invece possibile ammirare il Courmaon, che si apre alla sinistra del Vallone del Roc. Piegando progressivamente verso NO la strada raggiunge Noasca (1058 m), a km 25,8 da Pont, famosa per la sua bella cascata. Prima dell’abitato è possibile ammirare sulla sinistra la bella parete della Torre dell’Alpe Costantino, mentre sulla destra è ben visibile la placconata della Torre di Aimonin, sorretta da una pietraia di grossi blocchi.
Due ripidi tornanti sono la porta di accesso al cuore “mitico” della Valle: si giunge su uno stretto pianoro, il Pian Dlera (1250 m), ormai all’inizio della gola di Balma Fiorant, celebre per le sue pareti.
Sulla sinistra si individua subito una grande e scura parete, la cui base è caratterizzata da un bosco completamente devastato dalle valanghe invernali: è la Parete delle Ombre.
La strada continua ora nella galleria che evita la stretta gola, ma è possibile seguire per un tratto la vecchia strada (sistemata per il giro d’Italia 2019, ma chiusa alle auto), che fiancheggia la struttura del Caporal.
All’inizio del tunnel, sulla destra, si trova la diramazione asfaltata che conduce alla frazione Balmarossa, punto di partenza per il Vallone di Noaschetta. Tralasciando la galleria ci si inoltra quindi nella gola, passando tra due enormi mässi con scritte dell’epoca fascista. Alla nostra destra piccole strutture granitiche a conformazione di placche offrono belle scalate in aderenza: la Placca del Cacao, la Piramide e il Cubo, al somma di una breve pietraia.
In alto e sulla destra, visibile di infilata, è riconoscibile il Caporal, la parete più famosa e bella della Valle.
Si continua in salita, ammirando anche l’altro lato della valle, che presenta notevoli pareti granitiche: gli Archi Neri, la Torre Paura dal Cervello, e la grande parete del Serpente di Legno. Continuando per la stradina si arriva a un piazzale con una vecchia gru gialla abbandonata. Una serie di grossi massi segna l’inizio della pietraia basale del Caporal. Questi massi, già conosciuti nell’epoca d’oro del Nuovo Mattino, sono stati di recente rivisitati in chiave moderna. Con due stretti tornanti, ci si porta su uno slargo sotto il Caporal, dove la strada rientra nella galleria e non è più possibile seguire il vecchio tracciato.
Si sbuca dal tunnel nella parte alta della valle, molto ampia, al cospetto del gruppo delle Tre Levanne, in cui colpisce il largo canale nevoso del Colle Perduto. A sinistra si stacca la vecchia strada che per un tratto è possibile ripercorrere a ritroso, verso la gola prima lasciata.
Sulla sinistra, contro il tunnel, ecco il celebre masso della Fessura Kosterliz e in alto la grande parete del Sergent; ciò che si può vedere da qui non è che una porzione di tutta la parete!
Di fronte, sulla destra orografica, vi è la Parete del Disertore, circondata da bellissimi boschi di larici.
Ancora un poco oltre il piazzale del Sergent, scendendo a piedi sulla strada, si potrà scorgere sulla sinistra la Parete dei Conflakes, di recente valorizzazione.
Continuando invece dall’uscita della galleria verso monte si giunge alle prime case di Ceresole alla frazione Prese (1501 m), a 32,7 km da Pont.
Rispettivamente a destra e a sinistra, nascoste dai larici, due belle falesie di recente chiodatura: il Droide e la Pietra Filosofale.
Inconfondibile a invece, sulla destra, il Dado con le sue belle fessure mentre bisognerà salire sopra di essa per trovare la più celebre di tutte, Sitting Bull.
Con dolce salita si passano in sequenza tutte le frazioni di Ceresole adagiata sulla sponda dell’omonimo lago, sbarrato da una grande diga; 1613 m, km 35 da Pont.
La strada costeggia il lago e scende leggermente alla frazione Villa, ai piedi dell’ampio versante erboso del Courmaon, poi prosegue pianeggiante nella valle che riprende a piegare verso NO. Dopo una strettoia, dove si trovano le frazioni di Chiapili (qui la strada è chiusa nella stagione invernale) è possibile proseguire verso il Colle del Nivolet.
Sopra Chiapili, sulla destra, c’è l’ultima tra le grandi pareti della valle conosciuta come la Grande Ala. Proseguendo lungo la strada che si inoltra tra i pascoli prativi, sempre restando sulla sinistra orografica della Valle e con una serie di tornanti, si raggiunge il grande Lago Serrù (2275 m), di colore azzurro chiaro, probabilmente perché raccoglie le acque del superiore Ghiacciaio della Capra. La strada piega decisamente a NE per raggiungere il vicino Lago Agnel (2295 m), pure questo sbarrato da una diga, ma di dimensioni assai più piccole e di colore blu intenso. Poco sotto il Lago Serrù, c’è una piccola paretina dove è possibile arrampicare, estremo refrigerio qualora più in basso, nella stagione estiva, facesse troppo caldo. Verso SO è possibile ammirare la Cima del Carro e la Grande Aiguille Rousse, oltre naturalmente alle Levanne che l’intera conca di Ceresole. Continuando con una serie di tornanti la strada si inerpica sulle pendici pietrose delle Rocce del Nivolet o Cresta Garibaldi (a destra sentiero per il Colle della Terra) e raggiunge il Colle del Nivolet, 2612 m, 58 km da Courgnè. Scendendo leggermente sul versante Valsavarenche, è possibile scorgere il Gran Paradiso, mentre la strada termina poco dopo l’Albergo Savoia (2532 m) e all’inizio del lungo Piano di Nivolet. Nelle vicinanze si trovano anche alcuni splendidi laghi, meta molto frequentata dagli escursionisti.
Le pareti di bassa valle non sono state considerate degne di attenzione alpinistica prima della fine degli anni sessanta; essa aveva come fulcro principale le rocce del Courmaon, del Becco di Valsoera e della Tribolazione, che avevano già interessato Gervasutti nel dopoguerra.
Ma parlare della storia della Valle dell’Orco significa parlare innanzi tutto di Caporal e di Sergent e di conseguenza del Nuovo Mattino, movimento dal quale solitamente si considera abbia avuto origine il tutto. Il big bang comunque potrebbe situarsi in modo poco definito alla fine degli anni sessanta, epoca in cui alcuni alpinisti cominciarono a guardare con interesse quelle bastionate granitiche che precedono Ceresole.
La nostra storia comincia (e finisce) quindi da li, da quel piazzale sotto lo scudo del Caporal.