Essendo la valle costituita per la quasi totalità da rocce metamorfiche, lo stile di arrampicata è essenzialmente granitico, fatta eccezione per le falesie di bassa valle, dove lo gneiss permette una progressione su tacche a volte nette e volte svasate, su cui è necessario possedere una buona continuità di avambracci. La scalata sulle strutture dell’alta valle è invece squisitamente granitica. Abbondano placche, diedri e fessure.
Le fessure: la presenza di fessure nette e regolari su buona parte delle pareti, si può dire che abbia contribuito in maniera determinante a creare il mito della Valle dell’Orco. La fama di alcune di queste, prime tra tutte la Fessura Kosterlitz, ha addirittura varcato i confini nazionali e molti visitatori stranieri vengono in Valle dell’Orco proprio per provare a salirle. Le fessure più famose richiedono una perfetta padronanza della tecnica di incastro, cosa che non ha fatto altro che renderle ancora più temute e corteggiate, dal momento che negli ultimi vent’anni almeno in Italia, questo tipo di tecnica è rimasta prerogativa di pochi eletti o aficionados dei santuari granitici. Più rare sono le fessure da superare in dulfer, oppure sulla punta delle dita (lie back). Su queste ultime non è raro trovare anche gli spit, anche se proteggibili diversamente, il che ovviamentę semplifica enormemente le cose.
I diedri: sebbene non famosi come le fessure, in Valle ci sona alcuni splendidi diedri di varie difficoltà, anche se raramente raggiungono un considerevole sviluppo. Alcuni, come il Diedro Nanchez, si articolano su diverse lunghezze, altri sono lunghi solo 15 metri di arrampicata rude e faticosa, come ad esempio il famoso Diedro del Mistero.
Tuttavia la natura dello gneiss, ben provvisto di tacche nette e appoggi per i piedi, obbliga raramente a lunghi tratti di dulfer e più spesso utilizzando la tecnica di spaccata è possibile salire economizzando molte energie.
Le placche: sebbene non come in Val di Mello, anche in Valle dell’Orco le placche hanno avuto un ruolo importante nella storia locale. Come spesso capita gli arrampicatori si sono specializzati ognuno nel proprio stile e terreno di elezione. La presenza di piccole tacche o cristalli anche sulle placche più lisce ha permesso qui di salire anche oltre le inclinazioni tipiche della scalata di aderenza, rendendo la progressione su questo terreno meno monotona che altrove. Occorre dire che, per fortuna, lo scavo delle prese sulle placche è rimasto un fenomeno circoscritto e limitato.
Sulle rocce della Torre di Aimonin o del Sergent, i placchisti DOC della Valle hanno spinto molto in alto il livello, potremmo dire ben oltre lo standard raggiunto sulle fessure. Ovviamente, come su tutte le placche granitiche, è necessario possedere buona tecnica, buona forza di dita e… buone scarpe, meglio se rigide.
Gli strapiombi: sulle strutture dell’alta valle gli strapiombi saliti e/o attrezzati sono rarissimi. è un terreno ancora poco esplorato, a meno che essi non siano solcati da fessure, come nel caso del tetto di Legoland o di Greenspit. Diversamente, nelle falesie della parte bassa della Valle, si scala spesso su terreno strapiombante sfruttando le provvidenziali tacche che offre lo gneiss. Purtroppo in quasi tutte le falesie è abbastanza d’abitudine scavare le prese come era consuetudine negli anni novanta, epoca in cui sono state valorizzate. Come noterete voi stessi non sempre si è scavato su tratti impossibili, ma spesso con il fine di rendere omogenei gli itinerari, eliminandone i passi di blocco. Questa filosofia, come detto in voga agli inizi degli anni novanta, non è nel Canavese ancora superata, e molti arrampicatori rimangono tutt’oggi convinti che i chiodatori abbiano fatto la cosa migliore. E un dato di fatto, comunque, che le vie sopra l’8a sono in valle rarissime… e questo é in parte dovuto all’eliminazione sistematica dei tratti (apparentemente) impossibili.
Il bouldering: nonostante l’enorme potenziale, il bouldering in Valle dell’Orco rimane una pratica assai sporadica, limitata ai dintorni di Rosone e Ceresole, dove alcune aree sono in fase di valorizzazione. Tra tutti i massi che offre l’alta valle, pensate che solo il Masso Kostelitz offre diversi passaggi censiti e di pubblico dominio. Molto rimane da fare e ogni tanto qualche straniero risolve qualche isolato passaggio, ma attualmente non esiste ancora una comunità di boulderisti che svolga un regolare lavoro di esplorazione e valorizzazione.
L’artificiale: l’artificiale in Valle ha avuto il suo boom in due periodi storici ben definiti e attualmente rimane una pratica per pochi appassionati. Le prime vie artificiali risalgono ai primi anni settanta, l’epoca d’oro di esplorazione del Caporal e del Sergent. Tra tutte, possiamo dire che una decina di queste sono diventate classiche e quindi regolarmente percorse in questo stile, anche se negli ultimi anni sono state salite in libera.
Si tratta per lo più di vie di Al e A2, qualche volta A3, su cui vi è anche parecchio materiale in posto. Raramente occorrono materiali particolari o di ultima generazione per ripeterle, e quasi tutte sono fattibili in una sola giornata.
Negli anni novanta vi è stata poi l’esplosione dell’artificiale new age, essenzialmente grazie a Valerio Folco che sulle pareti della Valle ha importato le tecniche americane. Le vie di seconda generazione, o se preferite new age, sono oggi raramente ripetute e rimangono prerogativa per pochi appassionati. Per chi volesse ripeterle consigliamo di consultare il sito www.valeriofolco.com onde valutare bene il materiale Occorrente.
L’arrampicata sportiva: certamente la Valle dell’Orco non è il luogo più bello dove fare una vacanza di arrampicata sportiva e, come è noto, il granito non è la roccia d’elezione per gli amanti di questa attività. Tuttavia le falesie di bassa valle, in particolare Frachiamo e Bosco, sono molto frequentate nei periodi invernali da tutti gli arrampicatori provenienti dal Canavese, e persino da Biella e Torino. Non si tratta di falesie di eccezionale bellezza, ma il fatto che esse siano frequentabili con la pioggia, esposte a sud e… non ultimo… offrano tiri di livello medio- alto altamente allenanti… ha fatto sì che godessero e continuino a godere del favore degli appassionati.
Essendo poche, le falesie della Valle dell’Orco sono in genere ben attrezzate e ottimamente curate dagli arrampicatori locali. Buoni sentieri di accesso, disegni alla base con elenco delle vie, panchine per sedersi comodamente a far sicura, ghiaia per evitare di impolverare le corde.
Il clean climbing: una delle scoperte di questi ultimi anni (qualcuno direbbe ri-scoperta), è il clean climbing di stampo anglosassone. In poche parole si sale in libera proteggendosi durante la salita con protezioni naturali (nut e friend). Negli ultimi anni si sono moltiplicate le vie aperte con questa concezione, anche se per ora raramente esse vanno oltre l’una o le due lunghezze. Si tratta, per dirla all’americana, di short climbs dove gli appassionati di questo stile possono cimentarsi con la posa delle protezioni naturali. Nella quasi totalità dei casi si trovano le soste spittate e a volte anche uno o due spit lungo i tiri in tratti non altrimenti proteggibili, anche se in questo caso non si può parlare di clean climbing.
Sino a tre o quattro anni fa, in Valle dell’Orco era possibile salire in questo stile solo alcune fessure e/o brevi tratti di vie, e persino su queste si trovavano in qualche caso gli spit. Oggi sembra che questa ulteriore possibilità, che non fa che accrescere il fascino della Valle dell’Orco, conti sempre più adepti e di conseguenza sia rispettata (che significa mantenere pulite le vie concepite in questo stile) anche da chi la considera elitaria e pericolosa.
I monotiri: sulle rocce basali delle pareti più famose dell’alta valle, si trovano spesso dei monotiri, alcuni completamente a spit in placca, altri in stile misto. E bene quindi attrezzarsi preventivamente con protezioni mobili dove specificato, senza pensare che solo per il fatto che si tratti di un monotiro questo debba essere per forza fattibile solo con i rinvii. I monotiri di libera sono stati in Orco visti sempre come un ripiego ma oggi le cose stanno cambiando, e molti arrampicatori si concedono una giornata sulle pareti dell’alta valle solo per scalare su monotiri. Possiamo poi aggiungere che di vie lunghe ne son piene le Alpi, mentre luoghi dove praticare monotiri granitici, sia con gli spit che senza, sono in Italia ancora rarissimi. In questo senso la Valle ha ancora molto da offrire ed è li che si giocherà il futuro dei prossimi anni.
Le multipitch moderne: a partire dai primi anni novanta si è andata diffondendo questa nuova tipologia di via, essenzialmente per mano di Manlio Motto prima, e di Maurizio Oviglia e Adriano Trombetta poi. Sostanzialmente și tratta di uno stile ispirato alle vie del Monte Bianco aperte da Michel Piola, che sintetizzando prevede l’uso di spit sui tratti in placca e lascia spazio alle protezioni mobili lungo le fessure. Queste vie sono generalmente aperte dal basso, fermandosi con i clift-hanger o in equilibrio sui piedi, per mettere gli spit. Ogni apritore, a seconda della sua bravura e della filosofia con cui apre, dona quindi il carattere alla sua via rendendola più o meno severa. L’impegno il più delle volte si traduce nella distanza tra una protezione e l’altra, che su questo genere di vie è espresso dal grado obbligatorio, cioè il tratto più difficile che l’arrampicatore deve per forza superare tra una protezione e l’altra, senza possibilità di aiutarsi con altri mezzi che non siano la propria abilità in arrampicata libera. Se è vero che l’obbligatorio è espresso con un grado, esistono varie interpretazioni sul come assegnarlo, ed esse variano a seconda degli apritori. Esso rimane quindi un parametro altamente soggettivo e quanto mai indicativo. I ripetitori non mancheranno di farsi un’idea personale sulle vie dell’uno o dell’altro apritore, proprio come fosse un marchio di un prodotto. É un’utopia infatti stabilire dei criteri giusti di apertura: ognuno ha il suo concetto di sicurezza e il suo modo di vedere una linea. Se volete un’idea più precisa possibile di quello che andrete ad affrontare riferitevi alla scala S (vedi valutazione delle difficoltà) che ho elaborato con Erik Svab e Nicola Tondini, adottata già da alcuni anni dalle guide Versante Sud. Sappiate che S1 corrisponde grosso modo alla distanza adottata normalmente nelle falesie o poco di più ed S2 a una distanza tra i punti tra i 4 ei 6 metri. Le vie S3 e oltre sono molto impegnative psicologicamente e richiedono padronanza assoluta del grado obbligatorio, vale a dire che esso dovrà essere un grado che normalmente superate a vista in falesia e in montagna su ogni tipo di terreno.